Quando l’artista iraniana Dorna Abyak atterra per la prima volta all’aeroporto di Napoli per partecipare ad una mostra organizzata dall’associazione Pandora al Museo della Ceramica io sono lì pronta ad accoglierla. Mi aspetto di incontrare una donna che indossa il velo islamico così come dalla foto del passaporto inviatoci per l’accreditamento all’evento e come di solito siamo abituati a vederne sui media. Due realtà profondamente diverse che si incontrano in un appuntamento al buio! Ed io, vittima del più comune fra i cliché sul mondo islamico, confesso di essere rimasta sorpresa nel trovarmi invece davanti a una bella e giovane donna, dall’aspetto tutt’altro che dimesso, vestita all’occidentale e che parla un buon inglese. Visualizzo all’istante due immagini della stessa persona che stridono e per un attimo mi sento disorientata! I suoi modi gentili e la simpatia però distraggono la mia attenzione da quell’immagine ingannevole che riemerge da un profondo e radicato pregiudizio. Si stabilisce un contatto che si trasforma pian piano in un’amicizia che dura da allora. Mi avvicino così al mondo della ceramica artistica iraniana, figlia della ricca e antichissima cultura persiana emarginata da anni di isolamento, la cui storia è conosciuta da me solo indirettamente per gli studi universitari condotti a Parigi con il prof. Jacques Couland, uno dei maggiori studiosi di Storia del Medio Oriente. Nonostante l’embargo, l’Iran è un paese dal grande potenziale economico. È tra i venti paesi più ricchi al mondo, non solo per le immense riserve di petrolio e di gas, ma anche perché è un paese industriale con una millenaria propensione al commercio e all’artigianato di altissima qualità. La distanza tra le nostre culture, effetto degli accadimenti storici, volutamente aggravata da un regime di sanzioni internazionali che di fatto relegano l’Iran in una condizione di isolamento forzato, dopo lo spiraglio aperto dagli accordi raggiunti sotto l’amministrazione Obama, subito richiuso dalle scelte opposte di Trump, non ha potuto far altro che aumentare il livello di ignoranza sulla condizione delle donne iraniane negli ultimi decenni. Rendermi conto in prima persona, alla luce dell’incontro con Dorna, dei pregiudizi sulle donne iraniane è stato sconcertante ma al tempo stesso comprensibile se valutati questi in un contesto politico internazionale di isolamento e diffidenza reciproca.
La condizione della donna orientale, in particolar modo quella iraniana, oltre ad essere condannata moralmente nel mondo occidentale, è anche stata trasformata nel simbolo dell’oppressione e della mancanza di libertà di un paese e di una intera cultura. Di contro, la modernizzazione di questa cultura, con l’abolizione del velo, in un contesto in cui il corpo della donna diviene terreno di lotta per entrambi gli schieramenti, per il mondo islamico comporterebbe una trasformazione, un’apertura che rappresenta il primo passo verso la capitolazione alla cultura occidentale prevaricante.
Tuttavia, tra la caduta del velo, auspicata dal mondo occidentale che lo interpreta come elemento fondante di un bieco oscurantismo di genere, e il conseguente timore di perdita di identità e di controllo sulle proprie radici culturali del versante islamico, si innesta quel sottile confine in cui, in un gioco di luci ed ombre, il dibattito sul velo non è una questione che da sola può risolvere le contraddizioni della condizione femminile iraniana in quanto condizione femminile universale. Ed è proprio nel domandarsi quali siano le differenze socialmente rilevanti tra la condizione delle donne occidentali e quelle mediorientali, specialmente in ambito culturale e artistico, in un serrato confronto con Dorna, che sono emerse, invece, quelle similitudini che spostano appunto il dibattito sulla universale discriminazione contro le donne, perpetrata a qualunque latitudine del globo, seppur con diverse gradazioni e sfumature, nel Sud povero come nel prospero Nord, ad Est come ad Ovest.
È per questo motivo che colgo l’occasione per coinvolgere direttamente la mia amica e collega Dorna invitandola a rilasciare in questo contesto la sua testimonianza che ai più potrebbe sembrare controcorrente o peggio ancora propaganda, ma che in realtà ci racconta la verità di una artista emancipata e genuina.
VITA DA ARTISTA IN IRAN
È da quattro anni che, con grande entusiasmo, faccio parte dell’Associazione “Pandora – Artiste Ceramiste” e sono diventata responsabile dell’Associazione per il mio paese: l’Iran. Nel maggio 2019, partecipo ad un evento organizzato in Italia dall’Associazione e in questo primo viaggio a Napoli ho potuto constatare come, al di fuori del mio paese, noi iraniane veniamo considerate donne sfortunate, oppresse ed emarginate. Donne senza diritti, costrette ad indossare il velo come stigma che accomuna nella sottomissione e nell’ umiliazione la maggior parte delle donne islamiche. È stato proprio in quella occasione che finalmente ho potuto rivelare alle mie amiche e colleghe italiane quello che al mondo occidentale non è visibile: la mia vita, per molti aspetti non tanto differente da quella di qualsiasi donna occidentale. Al mondo attualmente si mostra un Iran arretrato dove le donne sono intrappolate nei chador, analfabete e assenti nella società. Falso! Le donne in Iran sono sì velate ma sono in gran parte ben inserite nel contesto lavorativo, sono la maggioranza nelle università, partecipano attivamente alla vita politica, sono parte integrante della produzione e del consumo di cultura. Le donne iraniane non sono solo vestite con veli neri – il chador è indossato solo da una minoranza fortemente religiosa – la maggior parte di esse si copre con foulard (Hijab) colorati, da cui s’intravedono chiome fluenti che coronano volti truccati. Il velo che s’indossa sul posto di lavoro pubblico è pressoché un’uniforme; quello che s’indossa per passeggiare può essere un semplice fazzoletto di seta che copre appena la testa sopra vestiti alla moda. Il velo, per fortuna, non è un impedimento alla voglia di conoscenza e di cambiamento che è sentito soprattutto dalle giovani donne. Nell’ultimo decennio si è assistito ad una grande trasformazione e molte donne sono lavoratrici autonome e non sposate; il divorzio è consentito, come anche l’aborto, la gran parte delle donne è laureata, tant’è che sono state introdotte le quote azzurre nelle università, sono molto attive sui social network, moltissime parlano inglese. La conseguenza è che in Iran i matrimoni sono diminuiti contro l’alto tasso di divorzi e il conseguente calo delle nascite; il governo, proprio per incentivare i matrimoni e le nascite in calo, ha lanciato una applicazione gratuita di incontri che consente alle persone di cercare e scegliere un partner in modo poco convenzionale nel rispetto della legge islamica. L’Iran contemporaneo sta passando da strutture comportamentali fortemente tradizionaliste ad idee decisamente più moderne che vedono dei mutamenti in tutti i campi, nel sociale come in politica, nell’arte e nella cultura come nell’economia. C’è una maggiore libertà culturale, un insieme di cambiamenti costituiti da nuove conoscenze nelle arti, nell’etica, nei diritti e nei costumi che lentamente stanno trasformando la società iraniana pur nel rispetto delle sue tradizioni religiose; tra queste trasformazioni, quelle in ambito culturale ed artistico hanno un posto speciale e importante. Malgrado le cariche istituzionali accademiche più prestigiose siano assegnate in maggioranza ad uomini, le statistiche dimostrano che la presenza delle donne, sia nelle accademie che nei laboratori di ricerca, è sempre più attiva e professionale. Se guardiamo al settore delle arti dal punto di vista delle donne e alla posizione che le stesse occupano in questo campo, non possiamo però che giungere a risultati contraddittori. La posizione delle donne nell’arte non è poi così lontana dalla posizione dell’arte stessa in Iran. In questa analisi non vanno trascurati altri fattori sociali che influenzano l’evoluzione del ruolo delle donne come non va trascurato il ruolo della politica. Il governo e le politiche culturali del governo sono molto determinanti nell’arte, assumendo però posizioni conflittuali che cercano di imporre un controllo sul lavoro di tantissime artiste iraniane contemporanee che di fatto si proclamano femministe, benché esprimano questa posizione attraverso i linguaggi e gli stili più diversi. Le artiste iraniane, come altre artiste nel resto del mondo, si avvalgono dei moderni mezzi di comunicazione artistica, molto spesso digitalizzati, ma spesso esse operano in un contesto fortemente limitato e osteggiato dalle censure governative. Tuttavia ciò vale, non solo per le artiste, particolarmente discriminate in quanto donne, ma anche per gli artisti e giornalisti uomini, come anche per tutti coloro insomma che utilizzano mezzi di comunicazione considerati pericolosi e destabilizzanti per il regime. Pertanto, tutte le attività artistiche e culturali sono soggette all’autorizzazione del governo e al consenso dei loro rappresentanti.
LA CONDIZIONE DELLE DONNE AFGANE PROFUGHE IN IRAN
Il controllo governativo che ci limita per tanti aspetti non ci ha impedito di aiutare, in quanto artisti, le donne afghane, e tra di loro le tante artiste, che i fatti dello scorso agosto hanno indotto a fuggire dal paese e a rifugiarsi in Iran che è uno dei paesi che li ha sempre ospitati. I problemi dovuti alla loro presenza non possono essere ignorati, problemi che ricadono principalmente sulle donne afgane che sono le più penalizzate.
Nei primi giorni di arrivo delle famiglie afghane, noi iraniani, uomini e donne, tra cui io e i miei amici artisti indipendenti, abbiamo accolto molti migranti afghani. Tra di loro tante artiste, la cui vita nel proprio paese era seriamente in pericolo; abbiamo dato loro cibo caldo e vestiti accogliendole in residenze d’artista. Tuttavia gli immigrati clandestini, soprattutto donne e ragazze, che continuano ad arrivare sono molti; sono i più vulnerabili e privati di ogni condizione lavorativa ed educativa. Le istituzioni pubbliche ma anche privati cittadini hanno lavorato duramente per aiutare queste donne e i loro bambini. L’emarginazione è una delle conseguenze negative della presenza illegale degli afghani in Iran ma è decisamente più dannosa per le donne e i bambini afghani rispetto agli uomini. Iran e Afghanistan oggi sono separati da confini geografici e politici; ma hanno una religione comune, una lingua comune, un calendario solare comune, in altre parole la cultura dei due paesi ha molti punti in comune ed il legame tra i due paesi è molto forte. Noi artiste ed artisti iraniani sentiamo una pesante responsabilità cui non possiamo sottrarci nelle relazioni tra i due paesi. Attraverso l’arte si possono esprimere amore, uguaglianza, unità, pace e amicizia con un linguaggio comune e profondo. L’arte non ha confini, l’arte non divide, avvicina ma c’è molta strada da fare, tra il “dire e il fare” c’è di mezzo il potere, la politica e la comunicazione distorta che ne consegue. L’Afghanistan è stata culla della civiltà umana grazie alla sua posizione geografica strategica, un passaggio, un ponte tra culture millenarie, tra oriente e occidente. L’artigianato ceramico di antichissima tradizione di questo paese risale al mille a.C., fiorì durante il periodo dei Bakhtiari e dei Ghaznavidi e ci sono molte radici comuni proprio con l’Iran. L’artigianato in Afghanistan è stato per lo più praticato dalle donne e tramandato di generazione in generazione. La nostra lotta come artiste e come promotrici della ceramica continua e continuerà proprio come vessillo di pace per tutte le persone del mondo. L’arte unisce tutti e l’arte ceramica fatta partendo dalla nostra madre terra è un tramite, un simbolo di unione che non fa differenze fra uomini e donne, né fra guerre.
La guerra è guerra in qualsiasi punto del mondo e gli esseri umani sono tali a prescindere dal genere. Non c’è niente di più bello che conoscere le altre culture e capire che veramente tutto il mondo è paese, nonostante le infinite differenze e a prescindere dalla legge che impone di coprirci il capo con un velo.
Opere di ceramica contemporanea di Dorna Abyak
Ragazza Turkmena in Iran
Donne afghane al lavoro nella fabbrica Nastaran Ceramic - Iran